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Juliane House e il suo modello per valutare la qualità di una traduzione

By Chiara Foppa Pedretti | Published  10/10/2009 | Italian | Recommendation:RateSecARateSecARateSecARateSecARateSecI
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Author:
Chiara Foppa Pedretti
Italy
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1. Introduzione

Juliane House, attualmente docente dell’Università di Amburgo, pubblicò nel 1977 il suo primo modello di valutazione della qualità di una traduzione (House 1977a), oggetto della sua tesi di laurea, discussa all’Università di Toronto nell’anno precedente. Successivamente, nel 1997, l’autrice elaborò una rivisitazione di tale modello (House 1997c), tenendo conto degli sviluppi raggiunti dalla ricerca e dalle teorie sulla traduzione nel corso degli ultimi venti anni, ma anche dei propri ulteriori studi.

2. I concetti alla base del modello

Per valutare la qualità di una traduzione, la si confronta con il suo originale e si conduce un analisi a partire dalle linee guida proposte dal modello di valutazione. Il concetto alla base di questo raffronto è l’equivalenza. Essa esprime il doppio legame che caratterizza il testo di arrivo: da una parte con il testo di partenza, dall’altra con la situazione comunicativa del destinatario, ovvero con il contesto situazionale nel quale il messaggio viene recepito. Nozione elaborata originariamente dall’antropologo Malinowski (1923), il contesto situazionale rappresenta l’“ambiente” che circonda il testo e che permette di recepirlo e comprenderlo. Tale nozione fu ripresa successivamente da Firth (1968), che la ampliò includendovi elementi quali i partecipanti alla comunicazione, i suoi effetti ed altre caratteristiche, e da Halliday (1985), che ne delineò le caratteristiche fondamentali (campo, tenore e modo), su cui si avrà modo di tornare in seguito.
Il concetto di equivalenza si lega a quello di significato e, in particolare, a tre aspetti di quest’ultimo che devono essere necessariamente presi in considerazione in una traduzione e che, peraltro, conferiscono specificità alla nozione stessa di equivalenza: semantico, pragmatico e testuale. Il primo aspetto fa riferimento al significato denotativo delle parole, ovvero al rapporto tra esse e ciò che indicano, tra il loro significato e il loro significante. Il secondo aspetto riguarda l’atto comunicativo come processo dinamico, entro il quale si instaura un rapporto tra le parole e il parlante, ma anche tra l’emittente e il ricevente del messaggio. Poiché è proprio attraverso tale processo che si costruisce il significato, l’autrice arriva a sostenere che una traduzione è, di fatto, una ricostruzione anzitutto pragmatica dell’originale. Infine il terzo aspetto del significato, quello testuale, è legato alle modalità di formazione e caratterizzazione di un testo (ad esempio, struttura tematica, anafora, ellissi). La House conclude, pertanto, che una traduzione può essere definita come la trasposizione di un testo nel suo equivalente semantico e pragmatico nella lingua d'arrivo (House 1997c: 31).
Altro punto focale per comprendere il modello presentato è senz’altro la distinzione operata dall’autrice tra “overt” e “covert translation”. La prima è una traduzione “esplicitante”, che si manifesta per ciò che è e non come un “secondo originale”. La sua funzione testuale, perciò, non può corrispondere a quella del testo di partenza: è una funzione “secondaria”, particolare, applicabile nel caso il testo originale sia diretto a un pubblico appartenente a un preciso contesto storico, linguistico o culturale, oppure nel caso di opere letterarie, le quali, pur essendo senza tempo, rivelano inequivocabilmente il proprio irripetibile contesto di produzione. È proprio questa funzione “secondaria” a permettere al pubblico della traduzione di avere accesso all’opera in questione, che per questo motivo deve essere mantenuta più inalterata possibile. Il secondo tipo di traduzione, al contrario, appare come un originale nel nuovo contesto linguistico-culturale: è per questo che il traduttore, rimanendo celato, dovrebbe garantire che la sua traduzione “implicita” abbia la stessa funzione del testo di partenza. Per ottenere questo risultato egli deve tenere presente il background culturale del proprio pubblico e applicare, qualora fosse necessario, un “filtro culturale” che agisca a qualsiasi livello (da quello semantico a quello testuale).
La House evita di esporre delle norme prescrittive riguardo alla scelta tra i due tipi di traduzione presentati. Uno dei motivi per il quale esse vanno evitate, secondo l’autrice, è il fatto che ogni testo ha le sue peculiarità e va considerato in correlazione al particolare contesto situazionale in cui nasce. Al fine di comprendere la situazione nella quale si trova un testo, la studiosa ricava delle “dimensioni situazionali” che costituiscono, tra l’altro, le linee guida vere e proprie del suo modello originario.
Il punto di partenza della rivisitazione del modello è, invece, l’introduzione di un nuovo concetto: il genere, che, secondo la stessa House, è una categoria definita socialmente e caratterizzata in termini di frequenza d'uso, fonte e scopi comunicativi. Il genere collega la funzione testuale (che lo esemplifica) al registro (che lo realizza). Del registro, peraltro, sono state proposte molteplici definizioni nel corso degli anni. Le prime erano accomunate dall’idea che si trattasse semplicemente di una variazione di codice –rispetto sia all’aspetto lessicale e grammaticale, sia a quello stilistico– che il parlante utilizza per collocarsi a un determinato “livello” della lingua che sia adeguato al dato atto comunicativo (Garzone 2003). Questa definizione –soltanto una delle tante possibili– può essere fatta rientrare nel concetto di tenore elaborato da Halliday, il quale, tuttavia, portando gli studi in questo ambito ad una svolta decisiva, propose una concezione di registro ben più ampia. Come si già accennato, egli individuò tre caratteristiche del contesto situazionale, quali tenore, campo e modo: è possibile affermare che le variazioni di registro dipendano proprio da queste tre dimensioni (Baker 1992). Il concetto di contesto situazionale si rivela, ancora una volta, di importanza fondamentale: stabilito che la nozione di registro non può legarsi unicamente all’osservazione delle scelte lessicali attuate da chi comunica, esso giustifica l’uso dei diversi elementi discorsivi che concorrono alla collocazione di un determinato atto comunicativo su un dato registro. A seconda della sua cultura d’appartenenza, infatti, il parlante avrà una precisa percezione di quale uso della lingua sia più adatto a quella particolare situazione.
Il campo (field) rappresenta la natura dell’azione sociale in cui ha luogo la comunicazione e che la influenza: comprende elementi quali lo scopo del messaggio, il suo contenuto, i partecipanti e le loro conoscenze, condivise e non. Il tenore (tenor) indica il rapporto che si instaura tra emittente e ricevente in termini soprattutto di potere e di distanza sociale e di “tono” della comunicazione. In questa categoria, perciò, si includono la provenienza temporale, geografica e sociale, nonché la posizione emotiva e intellettuale dei partecipanti. Il modo (mode), infine, esprime elementi del “funzionamento” della comunicazione in relazione alla situazione (Garzone 2003), quali il mezzo (sono da considerarsi perciò, ai fini dell’analisi, tutti i fattori di differenziazione tra testo scritto e orale) e la partecipazione, potenziale o reale, resa possibile ai partecipanti all’evento comunicativo.

3. Il modello di Juliane House per valutare la qualità di una traduzione

Queste tre dimensioni del contesto situazionale (campo, tenore e modo) sono anche le nuove categorie che costituiscono il modello rivisitato della House: esse semplificano, inglobandole, quelle sulle quali si basava il primo modello.
Tornando, così, al concetto iniziale di equivalenza, e riferendosi alla dicotomia overt/covert translation, si può finalmente concludere che la prima dovrà mirare ad ottenere un’equivalenza a livello di genere, registro, linguaggio/testo e di funzione “secondaria” che essa assume, ma non a livello di funzione “primaria”, ovvero quella del testo di partenza. Al contrario, la covert translation avrà come obiettivo l’equivalenza a livello di funzione “primaria” e di genere, ma non potrà, né dovrà, mirare a quella a livello di registro e di linguaggio/testo: questi si modificheranno per adattarsi alle esigenze culturali del pubblico della traduzione tramite l’applicazione del filtro culturale, come sopra accennato; l’effetto finale dovrà infatti essere un “secondo originale” appartenente allo stesso genere del testo tradotto.
Il modello proposto da Juliane House per valutare la qualità di una traduzione è, in definitiva, così schematizzabile:

  • CAMPO

  • TENORE

    • Provenienza temporale, geografica e sociale dell’autore

    • Posizione personale (emotiva ed intellettuale) dell’autore

    • Rapporto tra ruoli sociali

    • Attitudine sociale



  • MODO

    • Mezzo (semplice/complesso)

    • Partecipazione (semplice/complessa)

    • Genere



  • FUNZIONE


La provenienza temporale, geografica e sociale dell’autore si riferisce agli elementi testuali che costituiscono un indizio sul tempo in cui è stato prodotto il testo, nonché a quelli che marcano le origini geografiche e sociali dell’autore (ove il caso non marcato è la lingua standard nazionale). Il rapporto tra ruoli sociali descrive la relazione tra emittente e ricevente, la quale può essere simmetrica, se caratterizzata da uguaglianza o solidarietà, o asimmetrica, se è presente un qualsiasi genere di autorità. L’attitudine sociale fa riferimento al grado di distanza o, viceversa, di prossimità sociale: esso risulta evidente nella formalità o informalità del testo. Essa può essere misurata su una scala che va da “molto informale” a “abbastanza informale”, “neutrale”, “abbastanza formale”, “molto formale”. Ad essi corrispondono, nella terminologia di Joos (1961), adottata anche dalla House, i livelli “frozen”, “formal”, “consultative”, “casual” e “intimate”.
Il mezzo è semplice quando appartiene a una categoria unica (orale “per essere sentito”/scritto “per essere letto”) e complesso quando appartiene solo temporaneamente ad una categoria, per poi rientrare in un’altra, che costituisce il vero fine del testo: un testo scritto, per esempio, può essere poi letto ad alta voce o letto come se non fosse scritto, simulando un discorso improvvisato. La partecipazione, infine, è semplice se il testo è un monologo o un dialogo e complessa se presenta una commistione di elementi, come un monologo che si rivolga indirettamente ad un pubblico tramite pronomi o proposizioni interrogative.
Infine si tenga presente che, al fine di analizzare in modo esauriente ciascuna categoria, sarà necessario gli eventuali mezzi lessicali, sintattici e testuali che, di volta in volta, la caratterizzano.


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