Succedono eventi verbali e allora avremo parole (etichette, sigle, hashtag, acronimi, acrostici veri o presunti) assegnate a contenuti. E avremo immagini, ancora discorsi e liquidi narrativi.
Come ci dice Lev Manovich in "Software Culture", 2010 "In generale, è come se i media diversi cercassero di raggiungersi l'un l'altro in modo attivo, scambiarsi proprietà e offrire in prestito le proprie specifiche caratteristiche". Poiché ogni oggetto della nostra vita risulta essere, in buona sostanza, il risultato di un prodotto generato da un software, è perfettamente plausibile pensare alla nostra realtà occidentale come un sistema ultratecnicizzato refrattario a rinunciare a ogni sorta di stimolo informatico. La nuova ecologia mediale, favorita dalla disponibilità di articoli elettronici e dall'accesso a Internet grazie all'emergere di piattaforme specializzate, genera prodotti mediali ibridati, eterogenei, mobili, modulari e remixati in un ambito di "More media", che vede una progressione esponenziale di sempre più media attorno a noi.
Un tale ambiente ha favorito, e continua a farlo tramite l'affinamento sorprendente e inarrestabile delle tecnologie, una sorta di perfezionamento degli oggetti, inteso come possibilità di fruire di un qualsiasi oggetto - perché tutto può essere gettato in un software - attraverso la manipolazione, scomposizione, ricomposizione, assemblaggio e assorbimento in un altro oggetto mediale, prima basato su altre specificità. Le case progettate dai software trasformano i paesaggi e restituiscono nuovi ambienti grazie a sofisticate e verosimili simulazioni; impartendo a un software dei dati quantitativi relativi a peso e altezza di un utente possiamo ricevere istruzioni precise su come risolvere problemi legati al peso e ogni sorta di consiglio su come combatterli; inoltre è possibile chiedere il calcolo di distanze chilometriche, di conversioni di valuta, previsioni meteo, ricette di cucina e simulazioni di ogni genere e via dicendo, in un vortice infinito di domande e risposte. È questa la cattura della vita quotidiana a cui è evidentemente impossibile sottrarsi e che molti utenti vivono in modo inconsapevole.
In qualsiasi lavoro, studio, analisi, osservazione e catalogazione della sfera sociale il software unisce utenza e conoscenza e struttura il pensiero, produce una cultura mediata. Dopo la burocratizzazione della vita sociale e la contabilizzazione delle merci rese possibili dalla scrittura, il software ci guida verso la strutturazione della conoscenza in comparti tematici automatizzati, variabili, modulari, ibridi. Il software è legato alla Rete e le applicazioni lavorano direttamente sul Web. Ancora automazione e transcodifica, estraibilità (la narrazione è parte integrante del mondo reale), serialità (i racconti e i dati nella Rete si aprono, si dividono e si riaprono).
Per Manovich il software è il motore delle società contemporanee, esso guida le nostre vite portandoci all'ibridazione e atomizzazione informativa e culturale che invade il nostro tempo.
Tornando a una realtà molto attuale, ovvero quella dei giorni nostri, c'è chi auspica un ritorno alle élite culturali e all'accesso alla realtà "senza mediazioni". Stiamo parlando di piattaforme come TripAdvisor, Airbnb, Amazon, Wikipedia, Google. Ovvero, saltare le mediazioni per generare nuove élite a cui fare riferimento.
Come sempre, è auspicabile la via di mezzo, quella che consente di accedere ai contenuti probabilmente grazie a mediazioni come quelle sopra indicate, ma con la ferma consapevolezza che le élite (e non la casta) aiutano a scindere la realtà, a trovare gli orientamenti che ci possono indirizzare verso una massa critica e criticabile cambiando necessariamente i punti di vista per meglio comprendere l'insieme.
Mediazioni e élite, se così vogliamo chiamarle, devono convivere.
È quando accade nel film "The Conversation" di Francis Ford Coppola del 1974, dove un eccellente Gene Hackman suona il sax nella propria stanza investito da una memoriabile inquadratura finale che lo inghiotte, allontanandosi dal contesto per mostrare un punto di vista più generale e, alla fin fine, realistico. Il focus sulla scena rimpicciolisce il dettaglio per accogliere una spazialità allargata dove le mediazioni sono state accantonate, lasciando intravedere finalmente l'isotopia.
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